L’arte di Saverio Labarbuta, ovvero la trasfigurazione della Murgia

Giacinto Lombardi
L'arte di Saverio sembra una reazione al mondo statico, conservativo, aspro del carattere murgiano; il suo è il paese deposto in un angolo della mente dove l'artista ritrova il sentimento del bello, il sogno dimenticato, l'irreale possibile
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Uscire dallo studio-bottega di Carlo D’ambra ed entrare nella galleria privata di Saverio Labarbuta è un’esperienza che dà subito il senso di due mondi diversi, due vite interiori opposte, due modi di manipolare la realtà e farne oggetti artistici agli antipodi dell’essere.

Saverio è un artista esteta, metodico, ordinato, accurato, studioso ed esperto del suo mezzo espressivo, nulla è lasciato al caso, niente di informe, casuale, reietto trova posto nel suo studio come nella sua arte.
I suoi quadri sono paesaggi murgiani, angoli di Scesciola, cave di pietra , panorami immersi in un mondo di colori soffusi, evocativi, irreali.

Le sua cose hanno un’anima spirituale, la sua pittura è una metafora dell’ambiente, è una Murgia trasfigurata da un sentire a metà tra il naìf e il l’impressionismo. La sua trasfigurazione paesaggistica fa pensare al film “Al di là dei sogni”, ad un mondo che si crea si disfa davanti all’osservatore a seconda del suo stato d’animo e del suo pensiero. Scopri che la realtà non esiste, non vi è nulla di oggettivo, stabile, fisso nel reale, ognuno vede la realtà a modo suo e a suo modo la crea e la trasfigura: la realtà è eterea, plastica, esile, inafferrabile; l’unica certezza è lo spirito creativo dell’artista che abita il cuore umano.

Nei quadri di Saverio Labarbuta la realtà murgiana è allusa, è il materiale con cui l’artista crea la sua opera, il risultato non è ciò che vedono tutti ma il frutto di un particolare incontro tra il senso comune e il sentire dell’artista, ciò che  ne nasce è una trasfigurazione del reale capace di evocare nuovi sentimenti al suo ammiratore. Emozioni che, in fondo, appartengono a chi guarda ma che affiorano alla sua consapevolezza nell’ammirazione dell’oggetto artistico.

L’arte di Saverio sembra una reazione al mondo statico, conservativo, aspro del carattere murgiano; il suo è il paese che non c’è ma non è nemmeno quello che dovrebbe essere, è solo il paese deposto in un angolo della mente dove l’artista ritrova il sentimento del bello, il sogno dimenticato, l’irreale possibile.

A volte i suoi colori sembra che non vogliano colpire il visitatore, come le moleste pubblicità del nostro tempo, le sue opere chiedono la giusta attenzione, il giusto tempo per essere capite, la giusta sensibilità per essere ammirate. Egli parla ad un occhio attento, ad uno spirito iniziato, a chi ha tempo per soffermarsi, pensare ed attendere che le corde dell’anima comincino a suonare.

Ecco, questo è il suo segreto, il suo mondo può essere contemplato, non può essere abitato, la sua utopia è davvero un luogo che non c’è, la sua Murgia è una realtà antimurgiana, una realtà metafisica nascosta all’occhio del viaggiatore frettoloso ma che diviene una realtà rivelata dallo sguardo dell’artista.

E’ una Murgia che vuol essere compresa, vuole essere vista con altri occhi, vuole che l’osservatore vada oltre le sue pietre e la sua cucina e scopra che sotto la pelle tosta dell’ironia e dello sberleffo c’è una pietra viva, rosa come la carne, sensibile, tenera, in continuo movimento.

Qualcuno dice che il colore rimane prigioniero della forma, cioè che i dolori e i tormenti dell’artista rimangano soffocati dal perfezionismo della forma, ma l’artista, come dicevano i romantici e ben sapevano gli antichi, è la natura stessa, è l’ambiente in cui vive, è l’anima mundi che si manifesta, perciò anche questo tratto della sua opera esprime quella parte di noi che tende a reprimere le negatività e mostrare solo la parte bella e accettabile di sé.

lunedì 15 Dicembre 2014

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